il racconto della mostra, che si riflette e trova forma in questo volume, comincia dalle prime 141 sculture policrome del ciclo (il piccolo popolo), realizzate tra l’ottobre 2019 e febbraio 2020 a roma, che formano un assembramento che ancora oggi risuona come proibito, una folla animata e polimorfa di figure in movimento.
se non fosse scoppiata la pandemia all’inizio del 2020, il diario si sarebbe svolto coerentemente su questa linea, e il ciclo sarebbe stato un ricchissimo e vivace fregio della vita, dove ogni figura (ci sono anche alcuni, rari, animali) ha una precisa identità, rappresenta qualcosa o qualcuno, testimonia, a partire dalla prima figurina orante con le mani giunte davanti al cuore, in un gesto di ringraziamento antichissimo, che attraversa identico le culture e le religioni. ma lo stato d’animo che ha dato respiro a queste prime sculture dinamiche con l’inizio della pandemia è irrimediabilmente perso, dall’artista e da tutti noi, e nulla potrà tornare esattamente come prima. e quindi ci si chiude, si rientra in un bozzolo, in letargo o quarantena. il primo smarrimento è testimoniato dal secondo gruppo di sculture, intitolate proprio le figure della quarantena, incolori e quasi inanimate, con titoli terribili, non sento, non vedo, non parlo. da giugno 2020 alla fine dell’estate del 2021, nella terza sezione del diario, le figure diventano proprio figure senza nome, perdendo il loro pur tenue cromatismo e diventando completamente bianche. a differenza delle figure precedenti, fogli non ha più appuntato, nella sua scrupolosa, quasi ossessiva, cronologia, esattamente quando queste nuove sculture sono apparse, come lui stesso dice, dalla inanimata materia, il loro “giorno natale”.
il racconto del diario si conclude con due diversi gruppi di opere, tutte realizzate nell’eremo silvestre di penna, dove dall’estate del 2021 fogli si è trasferito. la quarta sezione è costituita da un ciclo di 59 dormienti in terra cruda, piccole sculture sferiformi, in cui si possono intravedere volti, create assemblando, quasi alla cieca, toccando appena con le dita, frammenti d’argilla rimasti sul tavolo di lavoro. la quinta e ultima sezione del diario è quella delle figure silvane ispirate dal contesto naturale in cui sono state realizzate, ossia l’eremo di penna, luogo isolato dove fogli si è ritirato in creativa solitudine. in queste sculture riappaiono il colore, il titolo-nome e la data, elementi che caratterizzavano i primi gruppi del ciclo. [marta ragozzino]