Texas per me vuol dire grandi praterie, deserti, bestiame, distese di terra coltivata, petrolio, pena di morte ancora in vigore, storie di schiavismo e di segregazione razziale. Una terra lontana più cinematografica che reale. Il Texas mi appare sconfinato e violento, polveroso, rimanda al mito del west selvaggio, ed ecco apparirmi l’immagine di John Wayne, ecco la classica immagine di un saloon, i longhorns nel paesaggio. Torna l’immagine del cowboy, penso allora al lavoro che Richard Prince ha dedicato a questa figura sociale semplice, povera, che in origine confina con quella dello schiavo, e che ha avuto la forza di diventare un simbolo, anche grazie al cavallo su cui in un punto della storia è salita, entrando in modo indelebile nell’immaginario collettivo mondiale. E il Texas è anche, nel mio pensiero, Indiani, spagnoli, messicani, popoli europei sopraggiunti, guerre, grandi città, povertà, caldo, luce: tutto si mescola.
Torno alle fotografie di Luisa Menazzi Moretti e cerco di capire quale Texas ha raccontato e, penso, continuerà a raccontare poiché in fondo questo luogo le appartiene. Il suo far fading west, non solo lontano come il west deve essere ma anche in via di sparizione, è il Texas di quando era ragazza. Udinese di nascita, non l’ha visitato brevemente come turista o come fotografa là giunta per narrare un territorio, ma vi ha vissuto a lungo dall’adolescenza fino agli anni dell’università: gli anni più importanti della nostra vita. Ancora oggi vi soggiorna per lunghi periodi in una località vicino a Huntsville, cittadina tristemente conosciuta per il braccio della morte. [dal testo di Roberta Valtorta]